La lettrice ed il lettore di
certo hanno sentito parlare (talvolta forse non in senso positivo) delle
organizzazioni non governative, in sigla ONG; si tratta di associazioni senza
fini di lucro, una categoria di organizzazioni non lucrative di utilità sociale
(Onlus) codificate dal Ministero degli Esteri in un elenco specifico.
Esse infatti concentrano la
loro attività nel settore della Cooperazione internazionale (Legge 26 Febbraio
1987, n. 49).
In diversi Paesi europei
esistono le ONG.
Perché questa premessa in
relazione al tema della immigrazione in Europa?
Molto probabilmente in Italia stanno
maturando i tempi per cominciare a ragionare intorno anche ad un “dopo
accoglienza” per quelle persone che hanno ottenuto, in sede di Commissione
Territoriale, il diritto di asilo e quindi una serie di riconoscimenti, a
partire dal diritto di soggiorno.
Persone, in particolare giovani
donne, sovente con una istruzione di base, che parlano un inglese fluente, che
professano in modo laico una delle due grandi religioni monoteiste, libere proprietarie
del loro sesso, insomma delle giovani cittadine europee per tutto ed in tutto.
Con una nota curriculare non di poco conto: queste persone hanno conosciuto la
vita, intesa come casistiche particolari (guerra, violenza, persecuzione …).
Alla luce di quanto sopra, una
iniziativa legislativa interessante potrebbe essere quella di prevedere un
inserimento agevolato fra le figure di cooperanti nelle ONG italiane nel
settore della Cooperazione e Sviluppo Internazionale delle persone di cui
sopra.
Il tutto attraverso un
emendamento all’art. 32 della sopra-citata Legge n. 49/1987 recante i requisiti
delle/dei cooperanti.
Con la auspicabile revisione
della Direttiva Dublino che attualmente impone l’obbligo del luogo di lavoro
permanente nello Stato di accoglienza e di riconoscimento, l’inserimento in
oggetto potrebbe interessare anche le Ong del Nord Europa.
In ogni caso una iniziativa
legislativa nazionale non dovrebbe comportare degli scompensi dei flussi
migratori a livello continentale, trattandosi di una misura agevolata per una
aliquota contenuta di persone che hanno visto riconosciuto il diritto di asilo
in Italia.
In conclusione l’ordinamento
giuridico si arricchirebbe di uno strumento di “dopo accoglienza” che non punta
alla soluzione salvifica dei flussi migratori in Italia in termini di quantità,
di dimensioni, ma che racchiude un messaggio di altissimo valore: ti accolgo,
ti faccio cittadina, ti formo, ti do la possibilità, dietro retribuzione, di
lavorare anche nella e per la terra da dove provieni (missioni periodiche).
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