domenica 26 giugno 2016

LE ANTIGONI ALL’ERIOS - DUE DONNE IN RIVOLTA (LA STAMPA / BIELLA 24-6-2016)



La voglia inconscia di Sessantotto di Renato Iannì nella rivisitazione dell’opera sofocliana?


Grecia. Circa cinquecento anni prima di Cristo. Tebe, a settanta chilometri a nord di Atene. La Convenzione di Ginevra sui morti di guerra ha da veni. Per il condottiero nemico alcuna sepoltura. E’ la legge, l’editto del re (obiettivamente discutibile). La giovane sorella dell’ucciso, Antigone, trasgredisce, viene arrestata e rinchiusa in carcere. Lì si suicida insieme con il suo promesso tenero sposo, figlio del legislatore. Questo ultimo prende coscienza e, soffocato dal rimorso, si sopprime.

Tipica narrazione di fatti di sangue, che all’epoca schizzava negli anfiteatri con alcuni accorgimenti, quale monito per gli spettatori: state in pace se potete, e si legiferi con equità, lasciando fuori dalla porta rancori antichi e voglia di vendetta. A ricordarvelo il sacrificio di una giovane donna.

Purtroppo ancòra oggi. Pensiamo di quante Antigoni è costellata la Storia. Degli uomini e del teatro.

Renato Iannì (1), ieri notte, nella sua interpretazione della tragedia di Sofocle, è voluto andare oltre: “Lo spettacolo è un urlo disperato di una libertà che vuole vivere tra gli uomini. Le leggi inumane che soffocavano l’Antigone di Sofocle hanno ceduto il passo a quelle, più oppressive e striscianti, dell’interesse privato. La fuga sembra essere nei sogni, dove si rifugia Antea, novella Antigone, senza trovare pace: - Non c’è niente nei sogni -”.

Una sfida da fare tremare i polsi. Soprattutto tenendo conto poi che l’ assimilazione di testi così intensi ed asciutti, attraversati da pause e da silenzi, “movimentati” da stacchi di balletto classico e soprattutto intrecciati fra la traccia base arcaica ed una serie di neologismi contemporanei (alcuni passi dell’Antea anarchica in stile black bloc), ebbene tutto ciò ha dovuto fare i conti con poppate e buone nanne, con i compiti in classe da correggere, con i modelli 730 da compilare, con i nipotini da recuperare a scuola e così via.

Non è un caso quindi se ci è voluto un anno di lavoro per mettere sul proscenio il condensato della visione ianniana: il disagio dei giovani d’oggi che, privi di strategie di sopravvivenza rispetto agli adulti, soffrono maledettamente in un Mondo malato ed ingiusto. Con il suicidio sempre in agguato.  

A questo punto la domanda è d'obbligo: attraverso una rivisitazione per certi versi visionaria di Antigone, Iannì è riuscito a comunicare al pubblico in sala questa sua voglia di “Sessantotto” (2), di rovesciare il tavolo del potere?

La scommessa di Iannì è apparsa ardua, troppo ardua probabilmente.

La risposta forse, ripeto forse, è legata alla “invenzione” scenica ianniana della seconda Antigone, quella Antea sul significato del cui nome i grecisti sono spaccati: da una parte quello di “contrario, ostile, rivale”, dall’altra però quello di “fiore”. Insomma protesta e tenerezza al tempo stesso. Una ambiguità di fondo che sembra ben incarnare proprio il Sessantotto ispiratore del regista, un movimento sociale e politico ancora oggi molto controverso: molti sostengono che esso abbia portato ad un Mondo “utopicamente” migliore, mentre altri ritengono che esso abbia spaccato e distrutto la moralità e la stabilità politica mondiale. 

Ma oggi non c’è voglia di questa disputa. C’è vuoto. C’è rassegnazione. Non rimane che sognare un Mondo migliore, senza leggi umane. Antea ci gela: anche i sogni sono vuoti. Allora in ultima analisi non rimane che la speranza: quella che il potere malato ed ingiusto nel Mondo si ravveda ed applichi la Giustizia, giustiziandosi, come il Re di Tebe, Creonte. Una utopia? A questo punto, per quanto contemplativo sia Renato Iannì, di certo non si può pensare che il suo messaggio a fine corsa dell’elaborazione della tragedia sofocliana sia quello di un suicidio di massa dei Giusti, per lasciare il Mondo in mano ai potenti.
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1) Renato Iannì, laureato al Teatro Ateneo di Roma, ha seguito i seminari scenici di Peter Brook, Alessandro Fersen, Dario Fo, La Fura dels Baus, Vittorio Gassman, Jerzy Grotowsky, Odin Teatret... e master di didattica teatrale di Ministero della Pubblica Istruzione ed ETI. 
Allievo di Eduardo De Filippo, con il maestro ha pubblicato il testo “Un pugno d’acqua”, presentato da Adriana Innocenti e Piero Nuti al Teatro Alfieri di Torino, e ha partecipato alla stesura di  “Eduardo De Filippo, lezioni di teatro”, entrambi  editi da Einaudi.
Critico teatrale, docente di Lettere e Teatro, regista del Teatro Stabile di Biella, ha messo in scena oltre 30 spettacoli, tra cui “Elektra” di Hofmannsthal, “Maria Stuarda”, di Schiller-Maraini, “Schifo” di Schneider,e i suoi testi “Faust, demoni & clown” e “La bestemmia Pasolini”. Collabora con il Ministero della Pubblica Istruzione, per cui ha pubblicato “Il linguaggio teatrale nella didattica sperimentale” e “Educazione a teatro nella scuola dell’autonomia”. Molti suoi lavori sono stati ospiti di prestigiose rassegne nazionali.  
2 ) Il Sessantotto (o movimento del Sessantotto) è il fenomeno socio-culturale avvenuto nel 1968,  nel quale grandi movimenti di massa   socialmente eterogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari), formatisi spesso per aggregazione spontanea, attraversarono quasi tutti i Paesi del Mondo con la loro forte carica di contestazione contro la corruzione e contro i pregiudizi socio-politici.

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