domenica 31 luglio 2016

GIOCHIAMO A NASCONDINO? (inserto “La Lettura” del CorSera del 29 Maggio 2016) – Iniziamo a esistere quando ci conosciamo a vicenda, ma conosciamo noi stessi quando siamo soli

(Caroline Eriksson,   laureata in psicologia sociale, ha lavorato per dieci anni come consulente nell’àmbito delle risorse umane. Tuttavia la sua passione è sempre stata la narrativa, cui ora si dedica a tempo pieno. Vive nei dintorni di Stoccolma col marito ed i due figli).



Nella società liquida contemporanea la “risoluzione” (di diritto o di fatto) del contratto di matrimonio, posto in essere anche da media-lunga data, non è una a-normalità.

Forse le due a-anormalità, se vogliamo così chiamarle, che possiamo cogliere nelle attuali crisi del contratto coniugale in particolare di lunga data di stipula potrebbero essere le seguenti:

1)  il primato in Italia di una motivazione su tutte: la domanda di intimità affettiva   (espressioni di affetto, coccole, carezze, …) in linea generale da parte di una delle parti del contratto, di fronte alla quale le parti stesse del contratto sono ignoranti nel comunicarla, nel recepirla e quindi nel viverla (*);
2)  i silenzi in Italia della religione, della istruzione (che non sia quella accademica universitaria per psicologi ecc.), dei mezzi di informazione (se non legati al gossip), dell’intellettualismo, dell’intellighenzia (maschile e femminile) su quanto sopra.

Morale? La domanda di intimità affettiva in età agé diventa una delle tante   questioni affidate alla magistratura: è legittimo pretenderla? E’ legittimo in-evaderla? Pretendere, in-evadere? Ci si può domandare: quale linguaggio stiamo usando? Stiamo parlando della tenerezza.

Non si ha idea di quanto estesa è la fattispecie in parola in Italia. Conseguenze? Una qualità della vita, intesa come benessere sensoriale e sociale,  scadente non solo a livello coniugale, ma in tutti quegli àmbiti in cui le persone “interessate” inter-agiscono (lavoro, tempo libero, adempimenti civici e religiosi …).

E che perdura, se non si acutizza, dopo l’intervento della Magistratura.  Alla quale una società, auto-reputantesi “emancipata” e civile, demanda la gestione della intimità affettiva coniugale. Al pari della sussistenza dell’obbligo di pagare l’Irap.
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(*) Per certi versi l’assurdo è quello che su di alcuni temi della quotidianità gestionale fra le controparti agé del contratto matrimoniale c’è una “sostanziale” condivisione di fondo, ma la “forma” attraverso la quale una delle parti, con uno sforzo emotivo elevatissimo, innesca la conversazione sui contenuti provoca il deragliamento della stessa verso una discussione sulla forma (non gradita dalla controparte fin dai primi secondi della pronunzia), che prende poi il sopravvento su quella dei contenuti. 
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