Vestire
all' "araba" per agevolare il processo di integrazione in Occidente.
Forse non è la loro vera finalità, ma sta di fatto che alcune ditte di
abbigliamento transalpine propongono linee in tale direzione. Suscitando
discussioni su di un capo in particolare: il velo.
"L'emancipazione è questione di
velo?"
Sveliamo un pensiero a ritroso,spesso si dimentica
che le differenze in realtà sono similitudini, anche il cristianesimo, come
nel l'antichità, velava il capo alle matrone e alle donne sposate, in
segno tangibile di rispetto e identificazione, di colei che passava dalla
tutela del padre a quella del marito. Poi il percorso di emancipazione ed
evoluzione ha fatto sì che nel contemporaneo le donne occidentali abbiano
scelto di non indossarlo più... Sebbene nel rito matrimoniale spesso è
utilizzato e desiderato, proprio quale segno di purezza, e nelle udienze papali
è ancora richiesto, siamo poi tanto lontane? Si può seguire un percorso simile?
Ai posteri l'ardua sentenza."
(Barbara
Saccagno – Associazione culturale Eunomica)
Maison come Valentino (di cui il proprietario è uno sceicco) e Dolce&Gabbano per quanto riguarda l'Italia, sono solamente i pionieri di quello che prima o poi molti marchi di Haute couture si occuperanno.. e cioè dare al mercato che in questo momento ha il potere di spesa maggiore, quello che questa fetta di mercato chiede. In fondo la moda è business e quindi presumo che dietro a tutto ciò ci sia semplicemente il bisogno di guadagnare, più che il voler cercare l'integrazione del mondo arabo all'interno dell'occidente attraverso la moda.
RispondiEliminaMa la moda in senso stretto come la si intende, ossia un commercio spesso di sfruttamento, sicuramente pensa solo a far cassa, non tanto alla cultura, d'altronde la moda è vicina al concetto matematico di elemento statistico che si ripete x volte, biecamente direi. Mentre l'etimologia modus è più vicina al modo di essere. Non sono proprio i grandi stilisti che dicono che in realtà loro lanciano un'idea ma ognuno crea il suo modus, definito superficialmente stile, sulla base del suo essere, fisico, psico e mentale? Se si superasse il concetto semplice di far denaro e di piegarsi alle mode e si andasse oltre per capire e confrontarsi sulla cultura si arriverebbe forse ad avere più informazioni e più consapevolezza che l'abito non fa il monaco a meno che siamo decisi a sottostare non a noi stessi ma a ciò che ci impongono?
RispondiEliminaI pensieri di “41 MAZZINI” e di “barbara” appaiono diciamo antitetici: da una parte la “realpolitik” dell’economia di mercato che produce affari, ed eventualmente quale sottoprodotto la cultura del sociale, dall’altra la “human economy” che opera per piegare il consumismo, il denaro alla produzione di idee, di informazioni non preconcette per costruire una cultura del sociale.
RispondiEliminaIl modo non urlato e pedagogico con il quale sono stati espressi questi pensieri rappresenta in un certo senso la quintessenza de “L’edicola del dialogo”.
Se poi tra chi la pensa come “MAZZINI41” e chi la pensa come “barbara” nasce una reciproca – contaminazione -, che non vuol dire necessariamente stravolgere le proprie impostazioni, ma prendere in considerazione che talvolta è possibile un altro punto di vista, “L’edicola del dialogo” nel suo piccolo avrà raggiunto l’obiettivo. Grazie.
carlo guglielminotti bianco