In linea generale la banca
(così come lo sportello postale) fa parte della nostra esistenza.
Per le comunità che nel Mondo
impiegano la moneta, la banca regola di
fatto la vita delle famiglie, degli operatori economici e delle pubbliche
istituzioni. In una parola la quotidianità.
Non a caso già i legislatori
della civiltà sumera 6.000 anni addietro disciplinavano in modo significativo
le attività di raccolta e di prestito.
In Italia la prima banca in
senso moderno nacque in Genova nel 1406: il Banco di San Giorgio.
Esistono oggi in Italia tante
banche che, insieme, costituiscono il cosiddetto sistema creditizio-bancario.
Insieme con quello di altri
Paesi dell’Unione Europea il nostro sistema bancario è sotto osservazione da
tempo non solo da parte della banca delle banche, cioè la Banca d’Italia, ma
anche da parte della Banca Centrale Europea (BCE), la banca centrale
continentale delle banche centrali statali.
Per certi versi il
disequilibrio fra somme versate (quindi prestate) alla Banca Monte dei Paschi
di Siena (anno di nascita 1472) e le somme dalla stessa date a prestito sembra
essere solo la punta dell’iceberg di una situazione molto critica.
Cerchiamo di spiegare.
Da un canto si versano i soldi
alla banca che si impegna a restituirli (attività di raccolta fondi);
dall’altro la stessa impresta parte dei soldi a terzi che a loro volta
promettono di riconsegnarli (attività di prestito o di credito).
L’equilibrio fra le due
attività è vitale.
In soldoni, scusate
l’espressione, nella parte destra di un documento chiamato Stato Patrimoniale
di una banca al 31 Dicembre riscontriamo indicati i debiti verso i soggetti
versanti i denari (i depositi per la banca sono una passività, un impegno),
mentre a sinistra troviamo indicati i “crediti” verso i debitori (per la banca
i prestiti a terzi costituiscono quindi una “attività”).
Da questo ultimo fronte la
banca si assicura così la principale entrata del suo bilancio, gli interessi
attivi calcolati sulle somme prestate ai suoi debitori, interessi quantificati
impiegando dei tassi di rendimento superiori rispetto a quelli che la banca, a
sua volta, riconosce ai suoi creditori sui fondi che gli stessi hanno versato e
che a fine di anno, in tutto od in parte, sono ancòra presenti.
In un secondo documento
chiamato Conto Economico la banca nella parte a destra (Ricavi) indica
l’ammontare degli interessi attivi al 31 Dicembre; un importo anche e
soprattutto grazie al quale i costi di gestione iscritti a sinistra (acquisti
beni e servizi, personale, ammortamenti, oneri vari …) vengono pareggiati,
assicurando il cosiddetto pareggio di bilancio.
L’eventuale eccedenza dei
ricavi sui costi significa per la banca un utile di bilancio. In caso contrario
si ha una perdita; se questa ultima raggiunge un certo livello i proprietari
della banca (gli azionisti) devono “versare” dei fondi.
L’equilibrio fra “attività” indicate
a sinistra e “fondi depositati dagli azionisti più passività” indicati a destra
deve essere assicurato. Nello Stato Patrimoniale e nella realtà.
Sennonché una parte della
“attività” a sinistra è solo, diciamo, scritta sulla carta. Nella realtà il
punto è ben diverso.
Siamo arrivati al nodo del
problema. Ci vengono incontro i numeri.
Al 31 Dicembre 2015 il sistema
bancario italiano vantava crediti (cioè attività scritte a sinistra di un
ipotetico Stato Patrimoniale complessivo frutto della somma dei crediti
inseriti negli stati patrimoniali di tutte le banche) per i prestiti erogati a
famiglie, operatori economici e pubbliche istituzioni per un importo pari a
2.000miliardi di euro.
Di questi, 360miliardi venivano
definiti come “prestiti deteriorati”, cioè di “difficile” recupero. Il rapporto
è del 18%. Il 18% è un valore preoccupante se confrontato con quello di uno
Stato confinante, la Francia, che presenta un 3%.
Il livello del debito pubblico
italiano è storicamente elevatissimo, ma forse anche il dato in questione
dovrebbe farci riflettere.
A parte la domanda, per certi
versi accademica, circa la fattibilità da parte del sistema bancario,
“scoperto” di fatto per 360miliardi di euro (al 31 Dicembre 2015), di
soddisfare i clienti nel caso in cui essi per assurdo richiedessero tutti
contemporaneamente la restituzione dei depositi versati, sta di fatto che
quella cifra non è solo una scritta “sulla carta”, qualcosa di immateriale, ma
sono banconote e monete uscite dal circuito del sistema bancario italiano e che
non sono state distrutte, ma hanno costituito dei flussi di liquidità (anche
fuori Italia) e che non intersecano più lo stesso sistema, bensì altri circuiti.
Morale: bisogna cercare, in
modo altrettanto concreto, di “re-inserire quelle banconote e monete” nel
sistema bancario-creditizio italiano.
Da parte di chi?
A) In caso di “no italexit”:
> gli azionisti, gli
obbligazionisti ed i clienti delle banche;
e/o
> i contribuenti residenti
in Italia, anche se non azionisti, obbligazionisti o clienti di banca,
attraverso la imposizione tributaria (Ministero dell’Economia e delle Finanze –
MEF / Agenzia delle Entrate);
e/o
> i cittadini contribuenti europei
(Banca Centrale Europea). Su questo punto alcune comunità europee, a partire da
quella germanica, mostrano preoccupazione e malessere.
B) In caso di “italexit”:
> l'Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato.
In ogni modo, nella parte
sinistra del nostro ipotetico Stato Patrimoniale complessivo, in luogo di
360miliardi di euro di crediti “deteriorati”, avremo allora 360miliardi di
liquidità. Possibilmente per aiutare l’economia reale. Su base meritocratica.
Da parte di funzionari di banca meritevoli.
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